Strumentisti di Parole/Musicians of words

Recensioni / Reviews

“E’ un libro dalla forma sconcertante che spesso si oppone come un delirio o una barriera o si impaluda in una ridda di significati e sensi e suoni a cui mi abbandono e talvolta resisto. Il libro è un coraggioso rompicapo”.

 “It’s a book of a puzzling form which often opposes as a delirium or a barrier or becomes marshy in a tumult of meanings and sensations and sounds which I abandon and sometimes resist. The book is an intrepid puzzle.”

Lorenzo Pavolini

Quella della scrittura collettiva non è certo un’ invenzione odierna, il fatto di affrontare, poi, la scrittura come una partitura musicale a più partecipanti avvicina il testo a una tradizione recente (penso alle opere del collettivo Wu Ming) svolta su altre corde, dimostrando implicitamente l’intenzione di porsi – nonostante il genere differente – in un dibattito culturale stimolante, quanto mai necessario nel nostro paese.[…]

Il romanzo “ Coeva” racchiude un doppio sperimentalismo. Da un lato quello della trama, il fatto che il concetto di tempo venga presentato in modo simultaneo costringe a un continuo esercizio,e quindi partecipazione, il lettore. È anche la dimostrazione, qualora ce ne fosse ancora bisogno, che la ‘forma romanzo’ non è affatto compiuta ma si presta sempre, grazie alla sua duttilità, a nuove forme di sperimentazione.

L’utilizzo di figure solo in apparenza metaforiche cela una descrizione della  realtà odierna, nelle sue contraddizioni e tensioni di forza, bene e male, che sottendono tutte le grandi narrazioni del secolo scorso. Ci sono parti scritte come dialoghi serrati e parti che sono veri e propri poemi in prosa. Il modo più semplice per rendersi conto dell’ invenzione e di come è stata declinata è la lettura, anche solo di uno stralcio: “ Fumando un sigaro, attese che ogni cosa svigorisse al tocco del piantonamento della ciclicità. Simultaneamente, alcuni circuiti analogici, posti tra intricate tubature, acceleravano la sua tempistica. Strauss approfondiva la cinematica e, più assestava i suoi innumerevoli orologi a pendolo, da tasca, a cucù. da polso, vieppiù questi paregorici dispositivi non rispondevano alla coartata organizzazione” .

Un romanzo, questo “ Coeva” , che non cede in alcun punto alle lusinghe di una lettura facile e di un linguaggio stereotipato che troppo spesso accomunano molta produzione recente in prosa, come troviamo scritto sulla retrocoperta il messaggio è esplicito “ Vera protagonista è una scrittura aulica e ciclica, destrutturata fino a simboli e graffiti” ; un esempio a ricredersi, questo “ Coeva” , per chi fosse convinto che tutto è stato detto/scritto e che sotto il sole del Romanzo non ci sia nulla di nuovo.

Luciano Pagano, Repubblica.it, 16 Novembre 2010

With “Coeva” we have a rare example of an allegorical-symbolical novel set in contemporaneity,  inspired in some ways to Antonio Moresco’s “Canti del Caos”, for a raving use of different languages and styles with an excessive symbolism. But the main peculiarity of  this novel is it is written by four authors: Maurizio Verdiani, Maria Pia Carlucci, Fiorella Corbi and Stefano Capecchi.

Collective writing and the will to face the writing to a sheet music approaches the novel to a recent tradition – Wu Ming is an example of it – demonstrates the intention to set in a stimulating cultural discussion, extremely necessary in our country. “Coeva” possesses a double experimentalism. The first one is the plot: time’s concept, shown simultaneously obliges the reader to a constant exercise and participation. It demonstrates that the “novel form” is not completed but, thanks to its ductility, it lends itself to new experimentation’s forms.

The use of apparently metaphorical forms hides an actual reality’s description, in all its contradictions and conflicts, which subtend all last century’s great tales. There are some parts written as concise dialogues and others as very prose poems.

This novel doesn’t yield in any point to an easy reading and a stereotyped language’s flatteries, which often pool many literary productions: “Coeva” is an example for who thought everything has been told/written and there’s no more innovation.

Luciano Pagano, Repubblica.it, 16 Novembre 2010

 

Chissà perché leggendo questo testo, mentre mi chiedevo quale dispositivo misterioso presiedesse al continuo rilancio del mio interesse da un suo capitolo all’altro, è tornato a stuzzicami un antico dubbio sulla vera ragione per cui i tempi del gioco e della poesia sono profondamente governati da quel “meccanismo” psichico che Freud denominò “coazione a ripetere”. Da un pezzo infatti sospetto che questa ragione, riconosciuta ovviamente la genialità delle pagine in cui Freud pose per primo il problema, sia un pochettino diversa, anzi del tutto opposta, a quella proposta da lui stesso. Freud, com’è noto, concluse la sua indagine sulla “coazione a ripetere” affermando che essa  è figlia di Thanatos, l’istinto di morte. Io credo invece che anch’essa sia figlia di Eros, della pulsione di vita. E spiego subito perché. A Freud l’idea della causa di quel meccanismo venne osservando i giochi di un  bambino di un anno e mezzo. Su questo arcinoto argomento permettetemi qualche succinto ragguaglio. Come egli raccontò in quel saggio strepitoso che è “Al di là del principio del piacere”, l’intuizione gli venne quando si accorse che quel bambino, seduto sul suo lettino, munito di un rocchetto annodato a un filo stretto fra le sue dita, ripeteva continuamente uno strano gioco: lanciava il rocchetto facendolo sparire dietro il letto e poi con quel filo lo ritirava a sé accompagnando ogni volta i due tempi del gioco – lancio e recupero del rocchetto  – con le parole “fort!” e  “da!” (“via!” e “qui!”) Dall’osservazione di questo giochetto Freud com’è noto dedusse che quel bambino vi riproponeva ripetutamente, oscillando nella sua recita tra la rabbia e il giubilo, la vicenda dell’alternarsi delle angosce di perdita e abbandono suscitate in lui dagli allontanamenti della sua mamma e dei sentimenti di rassicurazione e appagamento procuratigli dai di lei ritorni. Gli sembrò quindi che quel gioco permettesse a quel piccino di placare la propria angoscia trasformando la sua penosa condizione di dipendenza assoluta in una situazione controllata e governata da lui stesso. Qualcosa, tuttavia, in questo passatempo, evidentemente escogitato a fini di soddisfazione e diletto, e pertanto presumibilmente fomentato dal famoso “principio del piacere”, invece a Freud sembrò che lo contraddicesse. Perché inserire nel gioco della ripetizione, insieme al tempo conclusivo del tripudio anche e soprattutto quello dell’angoscia? Questa volontà di ripetizione del dolore, alla luce delle sue precedenti teorie, gli pareva inspiegabile. E fu appunto per determinare la causa di quello che gli sembrava, ed era realmente, il paradosso della “coazione a ripetere”, che decise di introdurre nella sua teoria delle pulsioni, accanto alla pulsione di vita, una pulsione di morte. Ne nacque, non solo nel campo analitico, una controversia che in diverse forme dura ancora oggi. Su questa intricata questione non ho certamente nessun titolo per pretendere di poter dire qualcosa di pertinente. Tuttavia il mio carattere, i miei gusti letterari e una briciola di buon senso, anzi di logica spicciola, mi dicono che a esigere, in tutti i possibili giochi umani – dagli antichi giochi infantili (nascondino, mosca cieca, guardie e ladri) ai giochi sportivi degli adulti (che comportanol ovviamente una continua tensione fra il timore della sconfitta e la speranza della vittoria), ai loro giochi d’azzardo (roulette russa compresa) fino alle grandi  architetture “letterarie” della fiaba, della poesia, della musica, dell’arte e del pensiero – la ripetizione simbolica di tutti gli aspetti dell’esistenza, e perciò anche di quelli più penosi e minacciosi, non può non essere altro che la volontà della vita stessa di onorare se stessa con un ostinato, ripetuto, onnibenedicente Sì. Giacché quale misero Sì potrebbe sembrare alla Vita quello che non osasse abbracciarla tutta, compresi i suoi lati più atroci, compresa dunque la morte, e perciò non fosse appunto incondizionato e assoluto come quello che quel visionario di Nietzsche pronunciò nella sua folle e disperatissima dottrina dell’Eterno Ritorno dell’Uguale.Spero che a questo punto si sarà capito che nella strana energia che vibra in ogni segmento di questo racconto stravagante, benché esso si pretenda ufficialmente concepito da un agguerrito terzetto di autori affiancato da un coadiutore, credo di aver intravisto il sorriso di quell’unico eterno puer che è lo spirito della fiaba.

Ruggero Guarini

 

I don’t know why reading this novel, while I was wondering which misterious dispositive were at the head of continuous relaunching of my interest from a chapter to the other, an ancient doubt about the real reason why game and poetry’s times are deeply ruled by that psychical “gear” called by Freud “repetition compulsion” is come back to excite me. I have been suspecting for a while that this reason, obviously recognized the pages brilliance in which Freud was the first one to put the question, though it were a little different, on the contrary, completely opposite, from the question which himself proposed. Freud, as everybody knows, concluded his research on “repetition compulsion” asserting it is Thanatos’ daughter, the death instinct. I believe it is Eros’ daughter, the life pulsion. Freud had this idea  in his assay “Beyond the Pleasure Principle”, when he noticed a half-past-year child was repeating a strange game: he had a reel which its thread was tied to his fingers, and he launched the reel making it disappear behind the bed and then he won it over saying respectively “fort!” and “da!” (“Hence!”, “Here!”). Observing this game Freud noticed the child had been fluctuating between anger and joy, which means the alternation of abandonement’s fears because of his mother’s absence and reassurance’s feelings with her return. It seemed that game let the child calm down his own anguish turning his absolute dependence painful condition into an under-control situation. But, according to Freud, in this game there was a contradiction. Why did he insert in this game both joy and anguish? To determinate the cause of  “repetition compulsion”’s paradoxe, he decided to introduce in his drives theory, beside the life-producing drive, the death drive. The symbolical repetition of every existence’s appearance is life itself’s will to honour itself with a hostinate and repeated blessing Yes. Since which miserable Yes could seem to Life what dared not embrace it all, included its cruelest sides, included death, and so it weren’t just unconditional and absolute like the one that visionary Nietzsche pronounced in his mad and desperate Eternal Recurrence’s doctrine. At this point I hope we will have understood that in the strange energy that vibrates in every part of this odd novel, although it is officially conceived by a versed quartet of authors, I think I have foreseen that only eternal child’s smile which is tale’s spirit.

by Ruggero Guarini

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